Francesco Guccini da Pavana. Un uomo e un amico riaffiorato a giorni alterni nei giorni della mia vita: una frase, un motivetto, una parola, un atteggiamento che ritornano sporadici in un istante istantaneo.
Ieri sera al Datchforum ho assistito al suo concerto, alla celebrazione della sua storia, della sua tradizione, tra pugni alzati anacronistici e battute grevi di una lucidità fastidiosa.
Musica come si deve. Musica come ancora si può. Uomini su travi di legno a vista, giusto qualche tappeto qua e là per non scivolare, luci da complessino di quart'ordine a incorniciare un cantautore. Un paroliere circondato da musicisti che sanno fare il loro lavoro, un uomo che ha detto tanto in tanti anni di "lavoro" (la mia mamma mi chiede sempre dove vado la sera; e io "a lavorare, a cantare"; e lei "ma tu non sai cantare") e che ha cantato due pezzi inediti efficaci ma dal sapore stantìo.
Tra battute sulla Bologna e la Milano che furono (ma lo dico per voi, io ormai li ho già vissuti e mi va bene così) e pubblico gioiosamente seduto senza spinte e senza drammi e con gioia a occupare tutta la superficie disponibile (no, niente "pogate" questa sera) del palazzetto, lo spettacolo si snoda tra canzoni e parole in libertà sull'attuale con un occhio al passato rimpianto (e a uno spettatore che gli urla Canta! risponde "Sciagurato. Non sai la differenza tra un cantautore e un juke box?).
Il basso rialzato e vicino alla batteria, la vecchia sezione ritmica; un chitarrista versatile tra classica, acustica e elettr... Fender; strumenti a fiato che spuntavano dalle mani di tastieristi e percussionisti; un Vince Tempera alla pianolina elettrica quando avrebbe potutto pretendere un pianoforte a super-coda.
E musica. Tanta musica: note strumentali e parole per sognare. Musica per più di 20.000 orecchie. Grazie Francesco.
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